Festa delle donne: 8 marzo 2021 tra pandemia e diritti negati

La denuncia di Di.Re sui soldi non arrivati a centri antiviolenza e case rifugio. Lo sciopero femminista di Non Una di Meno. La discriminazione sul lavoro. Ecco perché manifestare l’8 marzo, giornata internazionale della donna

Violenza sulle donne e pandemia: solo il 13% dei finanziamenti destinati a centri antiviolenza e case rifugio per far fronte all’emergenza sanitaria sono stati effettivamente liquidati. A denunciarlo è Di.Re – donne in rete contro la violenza.

Dati sconcertanti, li definiscono, ribadendo la lotta a sostegno delle donne, che si rinnova oggi, Giornata internazionale della donna, come ogni giorno.

E per questo 8 marzo 2021 torna anche lo sciopero promosso da Non Una di Meno: Con un appello rivolto anche ai sindacati di base, il movimento ha proclamato uno sciopero generale di 24 ore che coinvolgerà «anche le figure non riconosciute del lavoro, chi con la pandemia ha perso ogni forma di reddito e le persone migranti che con il lavoro rischiano di perdere anche i documenti di soggiorno».

Origine e storia della Festa delle donne: perché l’8 marzo

Quella della Giornata internazionale della donna è una storia che risale a oltre 112 anni fa. Siamo nel febbraio del 1909 quando il Partito socialista americano istituisce la festa. L’anno successivo, nel 1910, Clara Zetkin, durante la Conferenza internazionale delle donne socialista in Danimarca, rilancia l’iniziativa.

Questa l’origine, secondo le fonti più accreditate, che supera dunque il riferimento alle operaie morte nell’incendio in America nel 1911 o al gruppo di donne operaie chiuse in fabbrica nel 1857 dal padrone per impedire loro la partecipazione a uno sciopero.

Ma è nel 1921 che si trova un’intesa sulla data dell’8 marzo come Festa della donna (che per anni era stata celebrata in date diverse nei diversi paesi). Accordo trovato durante la Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca, che sceglie questa data per commemorare l’opposizione delle donne contro lo zarismo a San Pietroburgo nel 1917.

 

Violenza sulle donne e pandemia: cosa ha significato il Covid-19 per chi difende i diritti

Le attività per contrastare la violenza sulle donne si sono dovute adeguare alla nuova realtà imposta dall’emergenza sanitaria da coronavirus. I centri antiviolenza e la case rifugio si sono dovuti riorganizzare per garantire la sicurezza delle donne accolte, delle ospiti e delle operatrici che hanno continuato a sostenere – anche in lockdown – le donne nei loro percorsi di uscita dalla violenza.

La riorganizzazione ha portato un aggravio di costi. Da qui l’Avviso pubblicato dal Dipartimento per le Pari opportunità – datato aprile 2020 – per il finanziamento di interventi urgenti per il sostegno alle misure adottate dalle case rifugio e dai centri antiviolenza in relazione all’emergenza sanitaria da Covid-19.

 

Centri antiviolenza e case rifugio: i soldi promessi tardano ad arrivare

Annunci a parte, come e quante risorse sono state effettivamente erogate? A rispondere è Di.Re – donne in rete contro la violenza.

Il totale del contributo statale ammontava a 5,5 milioni di euro (4,5 milioni di euro per le case rifugio e un milione per i centri antiviolenza). Dai dati Istat in Italia risultano ad oggi 281 centri antiviolenza e 272 case rifugio che rispondono ai requisiti minimi dell’Intesa Stato-Regioni, indispensabili per accedere ai finanziamenti.

Ebbene, per quanto riguarda i centri antiviolenza, circa il 64% delle organizzazioni della rete Di.Re ha richiesto i fondi, ma i numeri parlano di un 50% in attesa di ricevere il finanziamento, l’11,7% ha ricevuto un acconto e solo il 13% è stato liquidato totalmente (la quota restante rappresenta i centri che non hanno mai avuto una risposta alla loro richiesta).

Stessa proporzione per quanto riguarda le case rifugio: il 43,3% delle organizzazioni Di.Re ha richiesto i fondi, ma solo il 13% è stato liquidato, mentre il 17,3% ha ricevuto un acconto e il 47,8% è in attesa di ricevere il finanziamento (gli altri sono ancora in attesa di risposta).

Le criticità legate ai finanziamenti sono molteplici, denunciano dalla rete Di.Re, la quale fa presente che «avrebbero potuto beneficiare dei fondi previsti dall’Avviso ben 300 case rifugio e 400 centri antiviolenza, quindi verosimilmente tutti». Ma dall’elenco pubblicato sul sito del Dipartimento della Pari opportunità hanno, invece, ricevuto il contributo 115 realtà.

 

Festa delle donne 2021: con lo sciopero generale il femminismo si colora di fucsia

Ma i problemi riguardo il sostegno alle donne sono anche di altro genere. Torna quindi anche in questo 2021 lo sciopero promosso dal movimento femminista Non Una di Meno. Il simbolo della manifestazione sarà la “zona fucsia”, nell’Italia segnata dai colori dell’emergenza sanitaria.

«La crisi sanitaria, sociale ed economica ha colpito e colpirà ancora una volta il lavoro femminile, migrante, non tutelato, precario, gratuito. I centri anti-violenza si sono trovati a gestire un’emergenza nell’emergenza. I dati Istat mostrano come il crollo dell’occupazione riguardi soprattutto le donne», dicono dal movimento.

La pandemia permea ogni aspetto di questa iniziativa, che non è stata esente da difficoltà. Solo di una settimana fa la denuncia del movimento rispetto alla decisione della Commissione di garanzia sciopero, che vieta al comparto scuola la partecipazione allo sciopero generale dell’8 marzo.

Questa decisione «impedisce di fatto il diritto di sciopero in uno dei settori ad altissima densità femminile – l’80% del corpo insegnante è infatti composto da donne – e tra i più importanti e più colpiti dall’emergenza sanitaria».

 

Festa delle donne: perché non c’è da festeggiare nel mondo del lavoro

L’8 marzo, inoltre, ci troveremo alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti e nel pieno della definizione del Recovery Plan. E lo sblocco dei licenziamenti preoccupa. Sono i numeri a dare il senso di una problematica già esistente e che rischia di aggravarsi nella sua dimensione.

Delle 444 mila persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo anno, il 70% circa sono donne. Solo tra novembre e dicembre 2020, di 101 mila occupati in meno, 99 mila erano donne.

«Tantissime nel tentativo di conciliare lavoro produttivo e riproduttivo hanno dovuto lasciare il lavoro salariato per prendersi cura di figli o genitori, in una continua riproposizione di ruoli predefiniti che vengono puntualmente riaffermati dalle stesse misure proposte per l’uscita dalla crisi», si legge nel report del gruppo “economia e lavoro” di Non Una di Meno.

di Felicia Buonomo     8 Marzo 2021  – OSSERVATORIO DIRITTI