Voto No perché continuo a ritenere necessario opporsi a chi vuole aggirare i nodi di fondo della crisi della politica-

Voterò No al referendum sul taglio dei parlamentari, ma è un voto che prescinde dal merito della riforma. Di che merito bisogna parlare, in un’iniziativa che non ha nessun disegno.

Voto No perché continuo a ritenere necessario opporsi a chi vuole aggirare i nodi di fondo della crisi della politica, che è crisi di rappresentanza e crisi di efficacia. È crisi nel rapporto tra società e politica, tra istituzioni e classi sociali. Il cuore di questa frattura sta ancora e sempre nell’incapacità manifesta di organizzare una parte contro un’altra, nel disegnare un’idea di società, di economia alternativa a quella esistente, di pensare un orizzonte altro rispetto a quello triste in cui stiamo affogando.

Di questo non c’è traccia da trent’anni.

È una crisi strutturale, che alcuni vorrebbero aggirare, ancora, con le solite misure di ingegneria istituzionale, dando in pasto ad una maggioranza frustrata e impotente un facile, facilissimo capro espiatorio. Tagliare i parlamentari per risarcire emotivamente, simbolicamente, quel senso di impotenza che travolge i destini individuali e collettivi. Una politica senza conflitto e tutta giocata ancora sul paradigma vittimario. Le vittime vanno risarcite, evitando accuratamente di dare loro gli strumenti per agire, per cambiare questo mondo e la loro vita. Le armi civili della lotta politica.

D’altronde, in un paese in cui dopo trent’anni di massacro sociale, di neutralizzazione del conflitto sociale in nome di un interesse generale che è interesse dei più forti, si continua a dire che il problema dell’assenza di lavoro e di salari da fame è legato al fatto che si è poco formati, poco istruiti, poco flessibili.

Ancora, nonostante tutto.

La retorica che accompagna questa riforma si basa sulla stessa matrice, che accompagna il dibattito sulla crisi economica. Qui torna la vittima, nelle vesti dell’imprenditore che non trova “collaboratori”, pronti a soddisfare le sue esigenze.

Come se la crescita economica fosse un disegno armonico, funzionale ad un equilibrio in cui tutte le parti hanno lo stesso interesse. Tutto deve essere compatibile con l’esistente e quando l’esistente è disastroso bisogna trovare piccoli orpelli a cui aggrapparsi.

Il problema è che nessuno riesce ancora a saldare il polo della questione sociale con quello della questione democratica, ..e così si va avanti con i santini del passato, senza riuscire mai a declinare nulla della storia che abbiamo alle spalle in questo tempo.

Triste finale, tristissimo

di Simone Fana