Il 21 gennaio 1921, a Livorno, nasceva il PCd’I, poi Partito Comunista Italiano

Oggi 21 gennaio di 100 anni fa, a Livorno, nasceva il Partito Comunista d’Italia. Un Partito che partiva dal mondo del lavoro e dei lavoratori, da chi produce realmente la ricchezza del paese, sotto il lavoro intellettuale e la guida politica di Antonio Gramsci, principale cultore della “cultura proletaria”. Ne furono artefici, fra gli altri, Bordiga, Togliatti e Terracini.

Il tempo della Grande Guerra, del vento della rivoluzione russa, del nazionalismo, dello squadrismo fascista che iniziava a fare capolino, portò crisi e destabilizzazione. Il Partito Socialista iniziò a risentirne: frequenti furono gli scontri e i confronti all’interno del partito ma soprattutto si acuì il conflitto interno tra l’ala riformista e l’ala rivoluzionaria. La parte rivoluzionaria fu avversa a ogni collaborazione con lo stato borghese.

Questa impostazione risultò in piena sintonia con lo stato d’animo della maggior parte della classe operaia italiana degli anni 1919-1920, ma fu molto lontana dal proporre un piano d’azione concreto, invocato invece dai riformisti, favorevoli alla collaborazione con la parte progressista della borghesia.

Gli esponenti riformisti, fortemente presente nel gruppo parlamentare, nel sindacato CGdL e nel movimento delle cooperative e delle società di mutuo soccorso, guidati da Filippo Turati, non perdevano occasione per sottolineare che il partito, in attesa di una rivoluzione che non si realizzava, non avrebbe dovuto rinunciare all’uso degli strumenti che il sistema democratico poteva offrire, compiendo una progressiva trasformazione della società.

Nel 1921 al XVII Congresso a Livorno, al termine di giornate caratterizzate da un clima particolarmente tumultuoso e turbolento, il congresso fece registrare la scissione della frazione comunista che abbandonò i lavori e diede vita al Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale Comunista.

I delegati della mozione comunista abbandonarono la sala, i comunisti uscirono dal Teatro Goldoni cantando L’Internazionale e si riunirono al Teatro San Marco. Tra i suoi esponenti più rappresentativi Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Amadeo Bordiga.

Il PCd’l nasceva in una situazione che così Gramsci descriveva: “Dovemmo organizzarci in partito nel fuoco della guerra civile, cementando le nostre sezioni col sangue dei più devoti militanti; dovemmo trasformare, nell’atto stesso della loro costituzione, del loro arruolamento, i nostri gruppi in distaccamenti per la guerriglia, della più atroce e difficile guerriglia che mai classe operaia abbia dovuto combattere”.

Nella nuova sede, i delegati che avevano lasciato il congresso socialista tennero il primo Congresso del Partito Comunista d’Italia (che diverrà Partito Comunista Italiano solamente nel 1943) e ratificarono la nascita del nuovo partito, nel quale pochi giorni dopo, come preannunciato, sarebbe confluita anche l’organizzazione giovanile. La decisione di assumere la nuova denominazione di Federazione Giovanile Comunista Italiana sarebbe stata sancita con il 90% dei voti favorevoli durante un congresso svolto a Firenze il 27 gennaio.

La scissione di Livorno non fu solo una separazione, un momento di rottura, ma fu anche la nascita di un partito che cercò di mettere in campo il progetto del proletariato andando oltre le mere formule ideologiche e mirando alla coscienza collettiva.

Fu il più grande Partito Comunista dell’Occidente: la falce e il martello, Lenin e l’Armata Rossa, la Rivoluzione d’ottobre, gli anni del silenzio e quelli della resistenza, l’imperialismo americano e le rivolte degli studenti, il peso esercitato di un partito di massa nella società, nel rapporto con i militanti e i simpatizzanti che vengono coinvolti nell’edificazione della «comunità comunista» con propri simboli, riti e linguaggi.

Il PCd’I venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926, ma continuò la sua esistenza clandestina, i cui militanti in parte rimasero in Italia, dove fu l’unico partito antifascista a essere presente seppure a livello embrionale, in parte emigrarono all’estero, soprattutto in Francia e in Unione Sovietica. Con l’arresto di Gramsci la guida di fatto passò a Togliatti.

Quando il fascismo esplose come fenomeno in grado di giungere al potere, mostrando successivamente tutto il suo volto reazionario ed antidemocratico, la classe operaia ed anche il suo partito di riferimento giunsero impreparati a cogliere le caratteristiche di un fenomeno che si presentava come nuovo nella storia.

Non fu facile per il Partito Comunista risollevarsi con centinaia di arresti tra i propri dirigenti. Ma dopo essere riusciti a ristabilire all’estero una direzione, il Partito Comunista e la Federazione Giovanile Comunista, riuscirono ad organizzarsi ed il ruolo nella lotta di liberazione fu importante e totale, con un contributo di sangue che essi versarono per liberare l’Italia.

Fondamentale fu il contributo che i comunisti, negli anni della clandestinità, diedero alla ricostruzione di una rete di opposizione al regime fascista nel Paese. Una rete fatta di presenza nelle fabbriche, di collegamenti, di radicamento diretto tra le masse.

Furono centinaia e centinaia i dirigenti e i quadri comunisti incarcerati e mandati al confino, ma ad essi si sostituivano sempre nuovi dirigenti, nuovi quadri. Le organizzazioni distrutte dall’opera della polizia fascista venivano ricostituite e tornavano ad essere presenti.

Negli anni della democrazia il PCI è cresciuto, anche economicamente, ma soprattutto ha realizzato un suo dominio esercitato sulla società civile, sulla cultura e la scuola, sino anche ad inglobare non pochi elementi della tradizione cattolica italiana.

Allora comunista non era solo “qualcuno”, ma molti cittadini, anche privi della tessera, ma scontenti prima del regime democristiano e della globalizzazione poi.

Già alla sua nascita, dunque, nel Partito comunista si intrecciavano dimensione nazionale e internazionale; quest’intreccio resterà vivo e vitale sino alla fine del Partito.

Con Luigi Longo, che successe alla segreteria del partito alla morte di Togliatti (1964), il PCI colse il successo del 26,9% nelle elezioni del 1968. La stagione delle lotte operaie e il processo di unità sindacale, nonché lo spostamento a sinistra della pubblica opinione, determinarono nei primi anni settanta nuove attenzioni e aspettative verso la politica del PCI, cui il nuovo segretario Enrico Berlinguer rispose con il “compromesso storico” (1973), proposta di collaborazione con le forze cattoliche e socialiste per il rinnovamento del paese.

Nel 1984 moriva Berlinguer, cui seguì nella carica di segretario generale Alessandro Natta.

Ma per il PCI gli anni 80 non cominciarono benissimo. La pesante sconfitta nella vertenza della Fiat nel 1980, la perdita di Enrico Berlinguer nel 1984, il leader più carismatico d’Italia e per finire, nel 1985, la “battuta d’arresto” nel referendum sulla scala mobile.

La mattina del 12 novembre 1989 a Bologna, in una sala comunale in via Tibaldi 17, nel quartiere della Bolognina, la riunione di un gruppo di partigiani per celebrare il 45° anniversario della battaglia di porta Lame, avvenuta il 7 novembre 1944, un episodio tra i più importanti della Resistenza italiana.

Il segretario del Partito comunista italiano Achille Occhetto partecipò a sorpresa all’incontro. Pochi giorni prima era stato abbattuto il muro di Berlino e si profilava il crollo dell’Unione Sovietica. In Italia si va verso la fine del PCI. Il discorso di Occhetto, destinato a entrare nella storia della sinistra italiana, durò solo sette minuti.

Iniziava così la svolta della Bolognina, che portò alla fine del PCI e alla nascita del Partito democratico della sinistra (PDS).

Si aprì una stagione sofferta, con un dibattito che appassionò migliaia di militanti, con rotture che investirono anche i rapporti umani. Si aprì in seno al Partito comunista un dibattito appassionato. La Segreteria nazionale e il Comitato Centrale approvarono la svolta di Occhetto, ma la base apparve divisa.

La discussione al Comitato Centrale si tenne nella storica sede di Botteghe Oscure. Quando terminò l’ampio dibattito, al voto parteciparono 326 dei 374 membri del Comitato centrale. I sì furono 219 sì, i no 73 e 34 gli astenuti. Tra i maggiori oppositori Giancarlo Pajetta, Pietro Ingrao, Alessandro Natta e Armando Cossutta.

Da quel giorno tanti e diversi i congressi che portarono al Partito democratico della sinistra. L’ultimo congresso del PCI si aprì il 31 gennaio del 1991 a Rimini.

Alla fine, nel febbraio del 1991, nel XX e ultimo Congresso del PCI, svoltosi a Rimini, la maggioranza dei delegati ratificò il cambiamento, sciogliendo il PCI e dando vita al Partito democratico della sinistra (PDS).

Contrari si riconfermarono Armando Cossutta, Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti (fu il cosiddetto “Fronte dei no”).

Un gruppo di delegati di questa opposizione decise di non aderire al nuovo partito e di dare vita a una nuova formazione politica che mantenesse nel nome la parola “comunista”: il 3 febbraio, nella sala E dell’edificio della Fiera di Rimini, fu costituito formalmente il Movimento per la Rifondazione Comunista.

Dunque quello stesso 3 febbraio sette rappresentanti (Armando Cossutta, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Rino Serri, Guido Cappelloni e Bianca Bracci Torsi), mettono tutto nero su bianco presso lo studio notarile di Sante Fabbrani Bernardi a Rimini.

In quel momento si cerca di ricostituire il PCI, tentando di strappare anche il vecchio simbolo al neonato PDS che lo mantiene rimpicciolito nel proprio nuovo logo, ma da questo punto di vista l’operazione fallisce. Infatti, dopo un’inevitabile querelle giudiziaria, si decide di assumere come nome del partito quello della mozione che si opponeva allo scioglimento, e il 25 febbraio a Roma verrà legalmente registrato il Movimento per la Rifondazione Comunista, divenuto poi Partito della Rifondazione Comunista (1992).

La vita del Movimento per la Rifondazione Comunista comincia con la costituzione di un esecutivo provvisorio con Cossutta, Garavini, Ersilia Salvato, Lucio Libertini, Rino Serri, Guido Cappelloni, Bianca Bracci Torsi, Peppe Napolitano e Sandro Valentini. Garavini viene eletto coordinatore nazionale all’unanimità.

di Nadia Rosa e Valter Tanzi.