Coronavirus Lombardia: quanti sono gli errori di Fontana e Gallera?

Tutta la stampa ha messo la Regione Lombardia sotto i riflettori per la gestione del coronavirus. Mentre contagi e decessi sono ancora preoccupanti, rispetto alle altre regioni, si possono fare i primi bilanci sulle responsabilità politiche dell’epidemia. Ecco, quindi, che emergono numerosi errori di Fontana e Gallera.

Il coronavirus in Lombardia continua a produrre morti, malati e polemiche. La politica di smarcamento, a livello regionale dalle decisioni prese a livello nazionale, non ha brillato politicamente per il centrodestra. Poi dopo la bufera scatenata dal piano di riapertura proposto dalla Regione, il governatore Fontana ha smorzato i toni e dichiarato che si affiderà senza indugi a scienziati e tecnici. Ma forse anche la scelta di questi ultimi ha avuto la sua importanza.

La Regione, resta nel mirino delle critiche, visto che è la più colpita e il sistema sanitario è crollato sin da subito. Inoltre, le indagini sulla gestione – e la strage – delle RSA sta facendo il suo corso, mostrando inefficienze e dubbi sull’operato anche dell’ente regionale.

In Lombardia il coronavirus ha registrato fino al 24 maggio 15.840  decessi per coronavirus, con un aumento di contagiati in 24 ore di 285 unità. Numeri ancora preoccupanti, seppure in andamento discendente.

La regione resta in testa a livello nazionale per persone colpite da COVID -19, distaccandosi anche da Piemonte, Veneto e Emilia Romagna, che pure hanno affrontato un’epidemia grave.

Un’osservazione attenta della gestione emergenziale in Lombardia mostra che carenze sanitarie ci sono nella ricca regione del Nord e si sono palesate proprio con la crisi da coronavirus. Inoltre, responsabilità nelle decisioni regionali, hanno pesato non poco.

Ecco, allora, per le scelte di Fontana e Gallera , la Regione non è esente da colpe.

Sistema ospedaliero inadeguato

La crisi del sistema ospedaliero lombardo è balzata subito agli occhi con l’esplodere dell’emergenza contagiati. I posti letto di terapia intensiva a disposizione a febbraio 2020 erano circa 8,5 su 100.000 abitanti. Un numero che si è subito dimostrato inadeguato alla crisi di malati (in confronto Emilia Romagna e Veneto ne avevano 10 ogni 100.000 persone).

Non solo, il 30% delle terapie intensive è risultata di proprietà di strutture della sanità privata convenzionata. Il primo sforzo della regione, quindi, è stato tutto rivolto a contrattare con i gestori delle cliniche la messa a disposizione di letti per malati gravi, con pochi risultati.

Intanto, i medici restavano senza linee guida chiare su come agire e non c’erano dispositivi di protezione per il personale sanitario in azione.

Anche il tentativo di creare, in tutta fretta, un ospedale in fiera a Milano, che ha ospitato  solo dieci pazienti, smetterà l’attività nel giro di poco. La classica toppa peggiore del buco. Costato 21 miliardi di euro, raccolti con donazioni, non è mai decollato ed è servito solo per creare poltrone dirigenziali per amici e amiche. (Bertolaso, Martinelli etc)

Pesenti, direttore della Rianimazione del Policlinico di Milano, che gestisce la nuova struttura realizzata nei padiglioni fieristici ha dichiarato: “Penso che noi a breve chiuderemo l’attività della Fiera se le cose vanno avanti così e a breve intendo entro un paio di settimane”.

Per di più, a fronte di esposti che denunciavano lo spreco di soldi, la procura milanese  ha già affidato gli accertamenti di rito sull’ospedale in Fiera, alla Guardia di Finanza.

 

Scarso controllo territoriale dei contagi

Ritardi e poca organizzazione sono state riscontrate anche nella gestione della sorveglianza dei contagi a livello territoriale. Negli ospedali lombardi troppo spesso sono arrivati malati in condizioni già piuttosto gravi.

I medici di base, ad esempio, non hanno ricevuto in tempo indicazioni regionali utili per intervenire in modo tempestivo ed efficiente su contagiati o sospetti tali in isolamento nelle abitazioni.

Il 23 marzo, ad un mese dal focolaio di Codogno, è stata emessa la delibera per la gestione sul territorio della COVID-19. Sono state, quindi, istituite le Unità speciali di continuità assistenziale per effettuare visite domiciliari. Uno strumento, comunque, tardivo.

Gestione RSA

Uno dei temi più controversi nella gestione epidemia in Lombardia è senza dubbio la questione delle RSA.

Il divieto di visite dei familiari nelle case di riposo regionali è arrivato soltanto il 4 marzo, mentre il giorno 8 marzo la regione ha acconsentito il ricovero presso alcune strutture RSA di malati di coronavirus meno gravi, con lo scopo di alleggerire gli ospedali al collasso.

Una gestione, questa dei positivi nelle case di riposo, che non ha funzionato, anche a causa di scarsa disponibilità di protezioni per gli assistenti.

In alcuni ospedali è stato notato, che arrivano in pronto soccorso persone anziane in condizioni disperate. È la testimonianza anonima di numerosi medici, che coincide con quello di Alessandro Azzoni, portavoce del comitato Verità e Giustizia del Pio Albergo Trivulzio, per cui anziani ospiti in condizione gravissime sono trasferiti in ospedale, dove muoiono in pochi giorni.

Risultato: La Lombardia ha il tasso peggiore di mortalità In Italia nelle RSA . Ogni 100 ospiti nelle strutture Rsa lombarde ne sono deceduti il 6,8%. Una strage.

Tamponi insufficienti e a carico dei cittadini

Ci si chiede come mai la regione Lombardia non ha preso decisioni autonome sui tamponi. Rispetto a Veneto e Emilia Romagna, per esempio, il territorio lombardo si è adattato esclusivamente alle direttive ministeriali.

In realtà, avrebbe potuto decidere di effettuare test maggiori a infermieri e medici, seguendo una linea autonoma. Ma non lo ha fatto, prediligendo per molto tempo solo i plurisintomatici ed escludendo un’intensificazione dei test.

Inoltre Regione Lombardia, ha preso una decisione assurda, con la Delibera di Giunta Regionale 3131 del 12/5/2020, dove si chiarisce che l’organizzazione dei test sierologici avverrà in modalità extra sistema sanitario regionale.

I cittadini che effettueranno il test sierologico e dovessero risultate positivi, dopo essersi pagato il test, dovranno fare il tampone e pagarsi pure quello: se va bene più di € 100,00 a persona.

Poca autonomia nelle decisioni

Pur invocando da sempre maggiore autonomia decisionale, Fontana e Gallera hanno dimostrato un atteggiamento anomalo durante la crisi coronavirus.

La polemica scoppiata sulle mancate zone rosse di Alzano e Nembro, per esempio, ha reso noto che la regione poteva decidere in autonomia, ma ha aspettato il provvedimento del Governo. Perdendo, così, tempo prezioso per arginare i contagi.

Il coronavirus in Lombardia, quindi, sta mettendo – purtroppo – in luce le diverse carenze sanitarie già esistenti sul territorio. E gli errori politici di Fontana e Gallera, che non possono dirsi proprio “estranei” da responsabilità.

Conclusioni

A fronte di questi dati, non è possibile non sottolineare che l’autonomia regionale, specialmente nel settore salute, non ha certamente migliorato la situazione. Contestualmente l’invito ad evitare di farne un terreno di scontro politico, è quanto mai sostenibile.

Le stragi nelle RSA Lombarde; l’abbandono di centinaia di cittadini a casa senza alcuna assistenza; la gestione schizofrenica dei tamponi; l’abbandono di medici al loro stessi ecc. Il rischio è che senza una gestione della Fase 2 competente si possano verificare ulteriori problemi, e una seconda diffusione del virus, soprattutto a Milano, potrebbe avere effetti drammatici.

Se questi sono i risultati emersi, è evidente che l’autonomia regionale della Lombardia, nel caso di pandemie virulente come il coronavirus, è stato una disgrazia per i cittadini. L’ansia di cercare di dimostrare la validità del modello privatistico sanitario perseguito è stata deleteria, aggravata da un buon tasso di incompetenza dei governanti lombardi.

Per questi problemi  Milano 2030 denuncia le scelte della Giunta lombarda, causa del gravissimo impatto del Covid19 in Lombardia, e chiede la nomina di un commissario ad acta per la sanità regionale, La raccolta sulla piattaforma Change ha già raggiunto 85.000 firme.