“Laudato sì”. Una lettura da ecosocialisti.

TRA NOTE POSITIVE E NOTE CRITICHE

Visto che ricorre il V° anniversario della pubblicazione dell’enciclica “Laudato si, e per questo sono previste molteplici iniziative, ci sembra l’occasione giusta di dare alla medesima e all’ambiente “bene comune” che vuole difendere, una lettura da ecosocialisti.

L’«Enciclica ecologica» di Papa Francesco è stata un evento di importante, dai diversi punti di vista.

L’enciclica è un buon contributo allo sviluppo di una coscienza ecologica critica. E’ stata bene accolta dai veri difensori dell’ambiente, ha al contrario suscitato inquietudine e disprezzo da parte dei religiosi conservatori, rappresentanti del capitale e ideologi dell’«ecologia di mercato».

Si tratta di un documento di grande spessore, che inaugura una nuova interpretazione della religione giudaico-cristiana – in rottura con «il sogno prometeico di dominio sul mondo» – e propone una riflessione sulle cause della crisi ecologica. In diverse parti, come per esempio nell’inseparabile associazione del «grido della terra» con il «grido dei poveri», si percepisce che la teologia della liberazione – in particolare dell’eco-teologo Leonardo Boff – è stata una delle fonti d’ispirazione.

Per Papa Francesco, i disastri ecologici e il cambio climatico non sono il risultato di comportamenti individuali  ma degli attuali modelli di produzione e di consumo.

Bergoglio non è un marxista, e la parola “capitalismo” non compare nell’Enciclica. Tuttavia risulta molto chiaro che per lui i drammatici problemi ecologici della nostra epoca sono il frutto degli «ingranaggi dell’attuale economia globalizzata» – ingranaggi che danno luogo ad un sistema globale, un «sistema di relazioni commerciali e di proprietà strutturalmente perverso» (corsivo nostro).

Quali sono, per Francesco, queste caratteristiche «strutturalmente perverse»? Prima di tutto è un sistema nel quale predominano «gli interessi limitati delle imprese» e «una discutibile razionalità economica», una razionalità strumentale che ha come unico obiettivo di massimizzare il profitto.

Questa distorsione, questa perversione etica e sociale, non è propria dell’uno o dell’altro paese ma di un «sistema mondiale dove prevalgono speculazione e ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare tutto il contesto, sia gli effetti sulla dignità umana che dell’ambiente naturale. Emerge così che la degradazione ambientale e la degradazione umana ed etica sono intimamente unite» (corsivo nostro). L’ossessione della crescita illimitata, il consumismo, la tecnocrazia, il dominio assoluto della finanza e la divinizzazione del mercato sono altre caratteristiche perverse del sistema.

Nella sua logica distruttiva tutto si riduce al mercato e al «calcolo finanziario di costi e benefici». Però sappiamo che “l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere e di promuovere adeguatamente». Il mercato è incapace di farsi carico di valori qualitativi, etici, sociali, umani o naturali, cioè di «valori che eccedono qualunque calcolo”.

Sul denaro virtuale il commento dell’Enciclica, è demistificante: “il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.

L’Enciclica sviluppa, una critica forte della irresponsabilità dei “responsabili”, ossia delle élites dominanti, delle oligarchie interessate alla conservazione del sistema, in relazione alla crisi ecologica: “molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo”.

In relazione al drammatico processo di distruzione degli equilibri ecologici del pianeta e la minaccia senza precedenti che rappresenta il cambio climatico, che cosa propongono i governi, o i rappresentanti internazionali del sistema (Banca Mondiale, F.M.I., ecc.)? La loro proposta è un presunto “sviluppo sostenibile”, un concetto che si è fatto una volta di più vuoto di significato.

Le misure concrete che propone l’oligarchia tecno-finanziaria (ed il cosiddetto capitalismo verde) sono perfettamente inefficaci, come per esempio i cosiddetti “mercati del carbonio”. La critica pesante che Papa Francesco fa a questa falsa soluzione è uno degli argomenti importanti dell’Enciclica.

Mancano però, certamente, le “misure drastiche”, come per esempio quelle che propone Naomi Klein nel suo libro Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile: rompere, prima che sia troppo tardi, con le energie fossili (carbone, petrolio), lasciandole sotto terra.

Non si può pensare ad una transizione che vada più in là delle strutture perverse dell’attuale modo di produzione e consumo, senza una composizione delle iniziative anti sistemiche che mettano in questione la proprietà privata, come per esempio quella delle multinazionali dell’energia fossile (BP, ENI, SHELL, TOTAL ecc.). Certo, il Papa parla della necessità di «grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impegni tutta la società», tuttavia questo aspetto strategico nell’Enciclica manca.

Ma nell’Enciclica i poveri non compaiono come gli attori della loro propria liberazione – il progetto più importante della teologia della liberazione.

Il progetto di cambiamento, che riteniamo necessario e non più rimandabile, si fonda su una premessa essenziale espressa da papa Francesco: “Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”.

Però le lotte dei poveri, dei contadini, degli indigeni, in difesa dei boschi, dell’acqua, della terra, contro le multinazionali e il mercato agro-alimentare, sono tematiche poco presenti in Laudato sì.

E nell’Enciclica ci sono pochi riferimenti ai movimenti sociali, che sono precisamente i principali attori delle lotte contro il cambio climatico: Via Campesina, Climate Justice, il Forum Sociale Mondiale, ecc.

CONCLUSIONI

Un certo entusiasmo filo-Francesco, che si scatenò all’epoca della pubblicazione dell’enciclica “Laudato si”, anche a sinistra, ci sembra infine mal riposto.

In effetti, malgrado l’ampia e analitica disamina che il papa svolge sulla fenomenologia della crisi ecologica e le buone intenzioni al servizio delle quali egli la pone, permangono, e non potrebbe essere diversamente considerando la fonte, l’istituzione e gli obiettivi dell’autorità da cui proviene il dettato, una serie di contraddizioni che, se non tolgono all’enciclica la sua importanza, ne pregiudicano largamente la coerenza ideale e ne vanificano l’attuazione pratica.

La prima contraddizione, già segnalata dai più avvertiti studiosi delle dottrine sociali cattoliche, consiste nel cercare di costruire tali dottrine a partire da un messaggio religioso sui fini ultimi della vita umana, a partire quindi dal primato dei beni dell’anima rispetto a quelli del corpo, di quelli spirituali rispetto a quelli temporali, della morale rispetto all’economia.

Come sfuggire allora all’implacabile realismo di Marx, che ha qualificato le concezioni di questo tipo come “fiori gettati sulle catene dello sfruttamento”?

Inoltre, la prospettiva che caratterizza l’enciclica è pur sempre quella, formulata alla fine dell’Ottocento nella “Rerum Novarum” di Leone XIII, ripresa nella “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II e teorizzata dalla scuola tedesca di Colonia, dell’”economia sociale di mercato”, che è quanto dire della conciliazione tra il profitto e il salario, tra un capitalismo “cattivo” ed un capitalismo “buono”, che ognun vede quanto sia oggi praticabile, in tempi di prolungata crisi economica, disoccupazione di massa e crescente sfruttamento dei lavoratori.

Così, l’uso di un linguaggio anticapitalistico da parte degli estensori del documento serve, in genere, a dissimulare la sostanza retriva dell’ideologia della conciliazione e della rassegnazione, più o meno temperate dall’azione correttiva di un “capitalismo compassionevole”, in essi formulata. Per niente espresso dalla COVIDINDUSTRIA di Carlo Bonomi.

La conclusione è dunque la seguente: proprio perché dalla stessa disamina papale si evince che i problemi sono radicali, occorre una soluzione altrettanto radicale. Non basta denunciare gli abusi di questo modo di produzione sempre più virale, ecocida e genocida, ma occorre rovesciarlo e sostituirlo con un modo di produzione rispettoso degli equilibri naturali, che allevi la fatica umana attraverso la scienza e la tecnologia e sia razionalmente e collettivamente controllabile dai lavoratori che producono.

Allo stesso tempo, non basta invocare un’“ecologia integrale” come nuovo paradigma di giustizia (vedi il capitolo quarto dell’enciclica). Occorre invece prendere atto che “lo spirito della produzione capitalistica è antitetico alle generazioni che si succedono” (Marx) e trarre da questa constatazione tutte le conseguenze che ne derivano, aggredendo le vere cause dell’attuale crisi ecologica e umana, che non sono l’antropocentrismo e il relativismo, ma il capitalismo e la sua inestinguibile sete di profitto e di dominio.