Lockdown, vaccini promessi e informazione negata

Questa nota era partita per segnalare un testo il cui titolo – Senza Respiro, di Vittorio Agnoletto – riassume bene l’intreccio di aspetti medici, organizzativi, politici e di immaginario che da quasi un anno, da che è esplosa la pandemia di Covid-19, è il protagonista indiscusso della realtà italiana e globale (al di là di tutte le altre cronache, anche quando ugualmente o più drammatiche: di migrazioni, di nuove guerre, di pandemie quotidiane). L’intenzione originale rimane, ma nel frattempo, dalla sera di lunedì, l’unisono dei media è «le borse hanno ritrovato l’ottimismo dei tempi migliori» e dappertutto «si respira». Si guarda al futuro. Si possono fare i conti e programmare con più credibilità. «Abbiamo un vaccino!». Anche se le critiche e le cautele sono tante. E, tra queste, quella dell’autore del libro, Vittorio Agnoletto, che da Radio Popolare fa eco ai tanti «non si sa ancora» che sembrano mirare, per le ragioni più diverse, a una non troppo facile fiducia nella fine dell’emergenza.

Proviamo a ritornare all’intenzione iniziale. L’inchiesta-racconto sulla pandemia Covid-19 ‒ in Lombardia, in Italia, ma con un inquadramento importante, quali-quantitativo, dello scenario europeo ‒ è da leggere, e soprattutto da tener presente come pro-memoria metodologico ed emotivo, da parte di tutte/i coloro che vogliono essere “vaccinati” contro un rischio-contagio che non ha niente di biologico: quello di sognare o pretendere di trovare spiegazioni e/o risposte a problemi “complicati” (o complessi, o inediti) soprattutto perché rimandano a determinanti di cui è proibito ‒ perché inconcepibile prima che impossibile ‒ un cambiamento. Le analisi del fenomeno Covid-19 come indicatore ed espressione della crisi dei modelli globali sono ormai infinite. Il testo di Agnoletto obbliga anzitutto a rivivere in tempo reale la concretezza, di per sé banale, della cronaca (sapendo quanto tragico può essere il prodotto della banalità quando il suo oggetto sono le persone e la vita). Con i suoi attori più diversi. Ben noti. A partire dal “laboratorio Lombardia”, Expo del globale per eccellenza (dall’architettura, alla moda, al turismo…), da anni laboratorio intensivo di alleanze di interessi e corruzioni mirate a cancellare un far politica con progetti che abbiano come base e misura di legittimità i diritti delle persone e delle periferie umane. Un laboratorio intensivo che non tollera opposizione o anche solo dialettica. Non importa quanto grande sia l’incompetenza più o meno arrogante e inefficiente di chi ne ha la responsabilità formale, per assicurare altri fini: tra i suoi obiettivi conclamati, il laboratorio Lombardia aveva curato anche l’evoluzione della sanità verso la modernità dei modelli aziendali ed economici, che non prevedono relazioni tra persone e valori, ma rendicontazioni amministrative utili a far quadrare algoritmi previsionali.

Il pregio di Senza Respiro è quello di rendere visibile il processo che porta al fallimento del meraviglioso laboratorio quando irrompe un elemento non previsto, che bisogna il più possibile negare, perché la rappresentazione deve continuare. E il meraviglioso laboratorio Lombardia diventa il vero laboratorio-scuola globale, pubblicato e studiato ovunque, dell’eccesso di mortalità, di crisi degli ospedali e delle RSA…: fino ad essere anche “rappresentazione” dell’eroismo umanitario e del sacrificio di medici e infermieri, della bellezza inedita delle strade e piazze rigorosamente deserte, di una Milano solo all’ascolto delle sirene delle ambulanze, delle bare che sembrano trafugate dai carri militari a Bergamo. Il racconto-inchiesta documenta in tempo reale, attraverso la drammaticità delle testimonianze, questa storia divenuta esemplare, resa ancor più intollerabile perché sistematicamente giustapposta alla ripetitività delle decisioni e delle dichiarazioni istituzionali (sistematicamente inefficiente per la documentata combinazione di stupidità, incompetenza, corruzione di basso livello).

Nulla di nuovo, dopo tante denunce, inchieste, rapporti? O manuale di lettura per quanto sta succedendo ancor oggi, in attesa di un Natale, dopo una Pasqua, in lockdown? Con direzioni centrali e regionali che non hanno cambiato nulla, nei responsabili e nella mancanza di una comunicazione comprensibile e condivisibile? Senza Respiro mette opportunamente nel suo obiettivo di pro-memoria un’attenzione per la situazione internazionale. Il laboratorio Lombardia-Italia è esemplare di una emergenza di civiltà che pone fino in fondo domande per un cambiamento di paradigma. È l’ultima parte del libro. Anche su questo, si potrebbe dire, nulla di nuovo. Sono tanti i piani, i buoni propositi e le piattaforme di futuro che sono state avanzate. Stesse criticità. Stessa distanza tra proposte e realizzabilità. Stessa fissazione sulle diagnosi: mancano infermieri, medici, territorio, come se la diagnosi ne evocasse l’uscita da un cappello di prestigiatore e non rinviasse a una progettualità politica.

In questa prospettiva l’annuncio del vaccino ‒ fatto da attori strettissimamente privati (di cui il più potente ha nel curriculum primati di multe miliardarie e indagini per manipolazioni di informazioni e comunicazioni ad agenzie regolatorie e ai consumatori), con dati volutamente parziali e ininterpretabili per promettere ciò che più serve ad attrarre le borse rispetto ai concorrenti ‒ è perfetto nel riprodurre strategie di intervento, e risposte politiche e di immaginario, che confermano l’intoccabilità del modello esistente: non c’è tempo e spazio per una cultura e per politiche che partano effettivamente dai bisogni, e perciò dalle persone coinvolte dalle tante pandemie che contagiano e uccidono. Un vaccino che ancora non esiste come prodotto, che potrà essere una risposta (tra le tante che arriveranno, senza confrontabilità, da tanti concorrenti) ampiamente accessibile tra mesi-anni (non si sa a che costi, se come bene comune o di arricchimento inaudito, secondo i miliardi di vaccinati): questa realtà tanto al confine del virtuale in termini di risposta ai diritti fondamentali di vita e di trasparenza democratica, e tanto reale nel far coincidere promesse e immaginari con “salti” globali dell’economia, dice molto bene che cosa è in ballo anche in questa “seconda ondata”.

Le stesse sfide della prima e di sempre. Si potranno produrre risposte reali solo se a un eccesso di rischio corrisponde un eccesso (memoria, recupero, innovazione) di democrazia concreta. Non ci sono prestigiatori che fanno uscire dal cappello conigli-vaccini o simili. E rimane una richiesta molto concreta, ripetuta all’infinito, anche su questo sito, rivolta alle tante commissioni, centrali e regionali: perché non decidete una politica di informazione epidemiologica effettivamente in grado di tradursi in informazione democratica, oltre che scientificamente credibile? L’informazione oggi disponibile è una violazione diretta, grave dei diritti di cittadinanza. Un cambiamento dell’attuale politica da struzzo, tecnicamente possibile e perfino banale nella sua realizzazione, sarebbe un primo segno di volontà di un modo diverso di gestire la sanità, non come un tesoretto da dividere, ma come un servizio. A meno di illudersi di usare con la stessa efficacia il dire-non-dire del vaccino: peccato che all’informazione negata ‒ o peggio, pasticciata ‒, utile a creare paura ma non futuro, le borse reagiscano bene.

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