Le ragioni dei metalmeccanici

Gli scioperi spontanei indetti dopo la rottura delle trattative per il rinnovo sono solo l’inizio di una serie di mobilitazioni che culminerà il 5 novembre. Le ragioni si riassumono in poche, semplici parole: salario, occupazione, industria

L’ultima volta che avevano scioperato era stato in piena pandemia. Lo avevano fatto da essenziali per difendere la propria salute e garantire che le fabbriche venissero messe in sicurezza dal covid. Oggi i metalmeccanici italiani sono tornati a incrociare le braccia. A macchia d’olio. Da Nord a Sud.

Stop di un’ora o di due. In alcuni casi assemblee, in altri presidi davanti ai cancelli. Una serie di proteste iniziate non appena è stato chiaro che Federmeccanica non solo non aveva intenzione di concedere aumenti salariali ma era decisa a rompere il tavolo delle trattative. Così mentre già le fabbriche hanno iniziato a fermarsi le segreterie di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil si sono riunite a Roma.

Sconcertati – si sono detti i segretari generali dei metalmeccanici – dalla chiusura delle imprese che hanno sposato la linea di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e protagonista nei giorni scorsi di un durissimo attacco proprio nei loro confronti. È per questo che al termine del vertice hanno annunciato uno sciopero nazionale e unitario. Quattro ore in una data che diventa adesso simbolica: il 5 novembre. Un anno fa quello stesso giorno veniva presentata la piattaforma unitaria per il rinnovo.

Lo ricorda Francesca Re David, segretaria generale della Fiom: “La trattativa per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici è cominciata undici mesi fa con una piattaforma approvata da oltre il 90% dei metalmeccanici. Una piattaforma che tiene conto del fatto che molte aziende non hanno rispettato il contratto precedente, che prevedeva, tra l’altro, l’allargamento della contrattazione di secondo livello e le ventiquattro ore di formazione nell’orario di lavoro. Questi impegni non sono stati attuati, non è stata redistribuita la ricchezza. Non è stato riconosciuto il valore del lavoro”.

Prima di quell’appuntamento intanto le tute blu scalderanno i motori con “una grande fase di assemblee e due ore di sciopero” per coinvolgere tutti. Gli stop spontanei di oggi sono solo l’inizio. La forza delle rivendicazioni dei metalmeccanici si misura nell’ampiezza delle adesioni: dalla Marcegaglia alla Ducati, dalla Kone alla Laika, da Vitesco e Manpower alla Safas Fonderie, da ArcelorMittal all’Industria italiana autobus. Le ragioni si riassumono in poche, semplici parole: salario, occupazione, industria. Salvare uno vuol dire salvare il resto e anche l’economia del Paese.

Ad appoggiare la protesta anche il sindacato di Corso d’Italia: “La Cgil – dichiara la segretaria nazionale Tania Scacchetti – è a fianco di tutte le lavoratrici e i lavoratori che in questi giorni si stanno mobilitando unitariamente per il diritto al rinnovo dei propri contratti collettivi nazionali. Una mobilitazione sacrosanta, oltre dieci milioni di italiani aspettano ormai da troppi anni”. Per la dirigente sindacale “i contratti nazionali di lavoro devono essere in questa fase lo strumento per difendere e rilanciare il potere d’acquisto e per gestire le riorganizzazioni e la ripartenza delle attività, a partire dalla valorizzazione delle competenze, dalla gestione degli orari e delle flessibilità, dall’utilizzo degli ammortizzatori sociali”.

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