La scuola italiana e l’autonomia differenziata

I dati INVALSI evidenziano che 1 studente su 3 non è in grado di comprendere efficacemente un testo in lingua italiana. Se incrociamo i dati con quelli dell’indicatore ESCS (Economic Social Cultural Status Index) che misura lo status socio-ecomico-culturale del paese si scopre una sostanziale coincidenza. Ossia: chi è più povero ha minime possibilità di istruirsi (e per istruirsi intendiamo anche capire il famoso testo in italiano!).

In questo senso allora, riproponiamo una profetica frase di don Milani: “Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

L’interrogativo, ormai perenne, costante che questo tipo di risultati ci pone dinanzi è sempre il medesimo: cosa vogliamo fare degli ultimi? Come vogliamo intervenire sulle disuguaglianze?

Con l’autonomia differenziata?

Assolutamente no.

La strada della regionalizzazione è del tutto impraticabile per il sistema di istruzione. La scuola italiana è e deve restare una e indivisibile.

Lo scorso 24 aprile, in una notte, Sindacati e Governo, firmarono una fumosa dichiarazione d’intenti che oggi viene puntualmente smentita dai fatti, ma allora servì a sospendere lo sciopero generale della scuola già proclamato.

Il ministro Bussetti, titolare della competenza sull’istruzione, ha deciso dunque di fare carta straccia di quella firma, di ignorare appelli, assemblee e mobilitazioni, di non prendere in considerazione pareri autorevolmente contrari.

Ribadiamo invece che la scuola deve essere lasciata fuori dalla partita della regionalizzazione (vicenda discutibile in tutti gli aspetti contenuti).

Il ministro Bussetti si dice preoccupato per i dati INVALSI. Ma da un ministro ci si aspetta altro, qualche soluzione, una visione complessiva del senso dell’istruzione, che non è l’autonomia differenziata, che potrebbe ancora di più approfondire le disuguaglianze, e neppure “l’ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Il ministro Bussetti potrebbe trasformare la preoccupazione in iniziativa politica, aumentando gli investimenti per l’istruzione in tutte quelle zone dell’Italia, a Sud come a Nord, dove più forte è l’incidenza delle disuguaglianze. Potrebbe intervenire concretamente finanziando un piano pluriennale per favorire il tempo scuola, soprattutto nel Mezzogiorno, ma ovunque ve ne sia bisogno. Potrebbe tradurre le preoccupazioni suscitate dai dati INVALSI per migliorare la condizione salariale di chiunque lavori nell’istruzione rinnovando i contratti collettivi di lavoro.

Il destino della scuola è dunque nelle mani di un parlamento che continui a credere in un progetto unitario e nella capacità dei sindacati di ingaggiare un conflitto che mobiliti tutti i lavoratori: di ogni settore coinvolto.

Bussetti. In quanto ministro della Repubblica italiana, ha il dovere istituzionale di difendere l’unità del sistema scolastico e di garantire lo stesso diritto all’istruzione dalle Alpi alla Sicilia. Il sistema basato su scuole di serie A e serie B va respinto. Bisogna ricordarglielo con le necessarie lotte.